Innamoramento come stato psichico e questione aperta

 

 

LORENZO L. BORGIA & GIOVANNA REZZONI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 02 luglio 2022.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

 

Quel sol che pria d’amor mi scaldò il petto,

di bella verità m’avea scoverto,

provando e riprovando, il dolce aspetto…

[Dante, Paradiso, III, 1-3]

 

 

1. Perché studiare l’innamoramento e quali sono le difficoltà di approccio metodologico. L’innamoramento è interessante da un punto di vista neuroscientifico perché costituisce una condizione neurofunzionale, e più in generale fisiologica, che, pur essendo caratterizzata da componenti affettive ed emotive, è differente dai due paradigmi più noti e studiati in questo ambito, ossia quelli dell’ansia-paura e dell’eccitazione-euforia, sebbene presenti alcuni caratteri comuni ad entrambi gli stati.

La difficoltà principale per lo studio di questo stato psichico è la mancanza di una neuroscienza molecolare e cellulare di base derivata da modelli animali: per quanto ci si possa ingegnare per trovare equivalenti comportamentali nella fisiologia comparata, pur volendo affrontare impavidi il rischio del ridicolo nell’eleggere un topo innamorato ad oggetto di studio, non si riesce proprio a trovare una corrispondenza ragionevole. E, d’altra parte, l’equivalente negli stati neurofunzionali del cervello murino in periodo estrale, considerata benevolmente un’ipersemplificazione alcuni decenni fa, costituisce in realtà un errore concettuale e metodologico: l’innamoramento umano è condizione del tutto distinta dalla propensione all’accoppiamento che, talvolta, risulta addirittura inibita dall’assetto emozionale degli innamorati.

Non è difficile credere che l’innamoramento, così come comunemente lo si conosce per esperienza diretta, indiretta e narrata, sia il prodotto dell’organizzazione funzionale tipica del cervello umano e possa tutt’al più avere parenti prossimi nell’encefalo di altri primati filogeneticamente vicini alla nostra specie.

Non resta quindi che studiare il cervello di persone che si dichiarino innamorate, adoperando a questo fine le neuroimmagini della risonanza magnetica funzionale o fMRI (da functional magnetic resonance imaging) dell’attività encefalica e, in parte, i metodi di studio elettrofunzionale (EEG, MEG, ecc.). Mentre scriviamo abbiamo sottomano una quindicina di studi selezionati per una rassegna sull’argomento, ma abbiamo deciso di accantonarli perché nulla ci dice con ragionevole certezza che i correlati di attività rilevati riguardino propriamente l’innamoramento, anche perché non sono stati ancora definiti dei criteri per verificare (to falsify) l’attribuzione, né i requisiti morfo-funzionali in base ai quali esercitare il discernimento, ovvero la diagnosi differenziale.

Allo stato attuale delle conoscenze, l’approccio psicologico rimane ineliminabile, perché costituisce l’unica dimensione entro la quale collocare gli elementi dedotti dalla fenomenica di osservazione, anche se a noi sembra opportuno non limitarsi a elaborare le informazioni secondo una particolare teoria psicologica, per evitare di consegnare alle forme più o meno autoreferenziali e preconcette di un modello ideale di fisiologia mentale privo di verifica sperimentale, aspetti che forse vale la pena aver presenti nella loro realtà oggettivata in modo solo approssimativo o proposta come soggettività condivisa, cimentandosi nel tentativo di leggerli secondo paradigmi diversi[1].

 

2. Uno stato fisiologico per molti aspetti problematico. L’innamoramento è una potenziale fonte di perdita dell’ottimale bilanciamento di attività neuronica alla base di ciò che si chiama convenzionalmente equilibrio psichico. In altri termini, si ritiene che il pattern di attività caratteristico dell’innamoramento renda più precarie le condizioni dell’equilibrio dinamico che continuamente si ristabilisce nel nostro cervello, e per conseguenza nell’insieme dell’organismo, accrescendo la probabilità di temporaneo “squilibrio”.

La ricerca neurofisiologica riconosce dignità di indipendenza al processo di regolazione emozionale, che continuamente modera e adegua le singole emozioni in funzione dell’armonia complessiva e nel rispetto delle priorità affettive del soggetto, e può essere specificamente valutato mediante l’analisi delle onde teta della corteccia prefrontale[2]. Tale attività regolatrice diventa meno efficiente nell’innamoramento, rendendo il tono affettivo-emotivo più precario, meno stabile, maggiormente soggetto ad oscillazioni.

Empiricamente questa vulnerabilità dell’innamorato era conosciuta dagli antichi; molti saggi dell’antichità consigliavano infatti di evitare di cadere in quello stato. È opportuno precisare che nessuno tra i pensatori antichi lo considerava, come vuole una convinzione sottoculturale prevalente ai nostri giorni, un’evenienza incontrollabile e un fenomeno non modificabile, da rispettare, rendendolo quasi intoccabile. Seguendo il nostro presidente, possiamo affermare che gli antichi erano più vicini alla comprensione della natura di risposta funzionale evocata di questo stato psichico di passione amorosa, di quanto non lo siano molti ai nostri giorni.

Da Giuseppe Perrella abbiamo imparato che la buona distanza o giusta distanza, secondo la definizione introdotta da Claude Levi-Strauss in antropologia, ovvero la distanza che consente la migliore espressione di sé nei rapporti umani, è determinata in gran parte da due parametri: dalla quantità di investimento[3] e dal piano volontario e deliberato che il soggetto intende adottare per regolare le relazioni. I due parametri, considerati per semplificazione il primo espressione di processi naturali e istintivi e il secondo conseguenza dell’educazione e della cultura, sono in realtà componenti distinguibili ma non separate di attività mentali in continua modulazione nella realtà della vita di una persona.

L’innamoramento si caratterizza per uno stato affettivo-emotivo che favorisce una cattiva distanza nel rapporto interpersonale perché, interferendo con gli automatismi cognitivi e razionali di elaborazione della realtà, altera l’assetto di fondo che regola gli investimenti affettivi.

Le cose essenziali da sapersi sull’innamoramento sono tante che un’esposizione pur sintetica avrebbe le dimensioni di un lungo saggio. Ai fini della nostra discussione è sufficiente aver presente che, a scopo preventivo, il soggetto innamorato dovrebbe intensificare, rendendoli attuali ed efficaci, i rapporti con quelle fonti di equilibrio abituale, costituite dalle relazioni affettive familiari o amicali, dalle attività di impegno cognitivo, morale, artistico, ludico, sportivo o di altro genere che oltre ad essere percepite come gratificanti, effettivamente contribuiscano al mantenimento di uno stato psicofisico ottimale[4].

Gli innamorati dicono frasi come: “Non posso vivere senza di te”, “Mi manchi da morire” o “Non ce la faccio più: non posso andare avanti così”. C’è un fondamento neurofunzionale cerebrale che giustifichi l’espressione di questi concetti? Proveremo, con l’aiuto di quanto abbiamo appreso al nostro seminario sull’Arte del Vivere, a dare una risposta a questo interrogativo. A questo fine, prendiamo le mosse da quella che sembra una pretesa dell’innamorato, per quanto pressante appaia la richiesta di rassicurazione alla persona amata lontana materialmente o moralmente, ma a ben vedere non è una pretesa, è solo un’istanza, che a volte può, al contrario, perfino sembrare una supplica, perché deriva da uno stato di necessità che domina la psiche del soggetto: il bisogno di certezza affettiva dell’innamorato.

Un esempio lo troviamo in una lettera di un innamorato illustre, ossia il giovane Freud, che scrive alla fidanzata ingiungendole di rispondere e dargli “garanzie”: “Ma non voglio scrivere sempre senza risposta, e smetterò se non rispondi a tono. Continui monologhi sull’essere amato, cui manchino un correttivo e un rinnovamento da parte dello stesso oggetto amato, portano a farsi idee sbagliate sul rapporto reciproco e all’estraniamento, quando ci si trova di nuovo e ci si sente diversamente da come si era creduto, senza garanzia”[5].

La ragione porta Freud a presentare la questione come un interesse comune della coppia, pena l’estraniamento, ma la minaccia di smettere di scrivere e il protestare di sentirsi senza garanzia, rivelano il bisogno di ottenere conferma dell’essere-per-lui della sua fidanzata. A sua insaputa, il fondatore della psicoanalisi, come qualsiasi altro innamorato, cerca di ritrovare la serenità di un equilibrio minacciato dal timore che la sua amata lo abbia disinvestito, ossia dentro di sé non gli attribuisca più quel valore speciale derivato dal sentimento.

A questo punto è opportuno spendere qualche parola su come intendiamo gli investimenti affettivi e la speciale forma di questi che costituisce il nucleo caratterizzante lo stato psichico di chi è stato trafitto dalla freccia di Cupido.

 

3. Distinguere l’investimento affettivo generico da quello dell’innamoramento. L’innamorarsi coincide con lo sviluppo di una sorta di investimento acuto, entropico, ossia antieconomico per l’equilibrio della persona e, di fatto, opposto al regime di adattamento psicologico normale; infatti, ordinariamente attribuiamo valori affettivi alle rappresentazioni mentali di persone e oggetti senza implicare alcuno squilibrio delle forze costitutive del patrimonio affettivo o, se si vuole, delle risorse neurofunzionali alla base di ciò che individuiamo col termine soggetto o, seguendo alcune teorie psicologiche, ci limitiamo a identificare con l’Io. La distinzione è importante, perché l’incomprensione dell’innamorato, del suo sentire e del suo agire, deriva in gran parte dall’ignorare o dal negligere questa peculiarità, che si rende evidente per il potere che assume nella mente la persona investita, non solo per grado o forza, ma anche per qualità.

Riflettiamo su esperienze comuni di perdita che rivelano l’entità di un investimento, come lo smarrimento di un oggetto che amiamo o il non avere più la possibilità di incontrare un conoscente simpatico: in entrambi i casi ci dispiace per un po’, fintanto che ci pensiamo, ma basta che la mente sia rivolta altrove per non averne più disturbo. Al contrario, è sufficiente solo la percezione del rischio di perdere la persona di cui si è innamorati, per vivere un problema che si impone alla coscienza come una minaccia che richiede di essere sventata o un rovello che pretende soluzione; per non dire dell’effettivo verificarsi della perdita della persona investita, che dà luogo a una sofferenza costante per un lungo periodo.

Il comune buonsenso ci dice che non si possono fare simili accostamenti, perché un oggetto materiale o delle circostanze di incontro sociale non sono paragonabili alla persona amata, implicitamente ammettendo che nei primi due casi la quantità di affetto impegnata è bassa. Ma, allora, se si tratta solo di quantità dell’affetto, si può tentare una riflessione più analitica mediante il paragone con i maggiori legami affettivi, come quello tra genitori e figli. E possiamo notare che un figlio o una figlia che ami profondamente i propri genitori, può in tutta tranquillità allontanarsi da loro per andare a studiare all’estero e non essere minimamente sfiorato dall’idea di perdere il loro amore, né avere bisogno come il giovane Freud di conferme. Il senso comune ci dice che il rapporto tra genitori e figli ha tutt’altra genesi, si sviluppa negli anni e, soprattutto, dà luogo a un vero sentimento d’amore che è cosa diversa dall’innamoramento. In questo tipo di legami profondi, gli elementi affettivi che attengono all’identità si costituiscono negli anni, attraverso un’inconsapevole consuetudine identificativa ed empatica che crea quelle solide e profonde memorie affettive alla base dei “veri sentimenti” nell’accezione culturale più comune. Infatti, ciò che è peculiare dell’innamoramento è il conferimento d’emblée alla persona investita di un valore per la propria identità[6], che sembra diventare dipendente dal riconoscimento – attraverso un sentimento ricambiato – da parte della persona amata.

Se le cose stanno così, è proprio in questa dimensione acuta e costantemente attuale vissuta dall’innamorato, contrapposta alla serena diacronia di sviluppo normale dei sentimenti, che si determinano quella precarietà e quella continua emergenza che sembrano minacciare l’Io e portano l’innamorato a sentirsi in modo tale da dire: “Non posso vivere senza di te”, “Mi manchi da morire” o “Non ce la faccio più: non posso andare avanti così”.

Si, ma questo che vuol dire? Vuol dire che è in questione una qualità diversa di investimento. E tale differente qualità, come ha spiegato Giuseppe Perrella, è epifenomeno di un quadro funzionale proprio e specifico, caratterizzato dal porre nell’attualità dell’elaborazione funzionale del presente anche importanti elementi appartenenti alla dimensione del funzionamento strutturale della mente[7].

Anche se l’innamoramento come stato psichico e psico-fisico è sostanzialmente una condizione individuale, tutto il suo senso si compie in una diade: si è innamorati di qualcuno e per qualcuno che, anche se assente come interlocutore, è costantemente evocato alla mente quale allocutore, secondo la definizione introdotta da Edouard Pichon per questo ruolo della dimensione immaginaria. L’innamorato, pur nella sua bias ideale e idealizzante deve fare i conti con il senso comunemente attribuito al suo stato, ossia di condizione predisponente alla formazione di un legame.

Lo stabilirsi di un rapporto di coppia, anche se c’è asimmetria di sentimenti per qualità, intensità e profondità, comporta un investimento, il che vuol dire – secondo la definizione di Giuseppe Perrella – che la rappresentazione identitaria della persona investita acquisisce un potere nel funzionamento psichico del soggetto. Il potere che ci appare più immediatamente evidente è quello di evocazione, ma ogni effetto prodotto dipende da un fatto: il cervello porta la rappresentazione neurale della persona investita in un ambito appartenente al funzionamento identitario del soggetto stesso. Questa condizione dipende da una conoscenza interpretata come fatto di realtà: il soggetto sa che la persona investita è – e dunque esiste ed è presente – per lui. Se manca supporto o conferma a questa conoscenza, si determina un allarme, perché quei circuiti prossimi all’identità del soggetto, che si accendono e partecipano ad altre funzioni psichiche, sono tonicamente sostenuti nell’attività di fondo da questo elemento di certezza[8]. Se si insinua il dubbio, diminuisce l’attivazione, che scompare del tutto quando la persona investita è perduta.

La brusca riduzione di attività dovuta alla rottura del rapporto è rilevata dalle reti globali, che la registrano come riduzione acuta di un parametro vitale, e per questo attivano un pattern di pericolo, tanto più esteso e acuto quanto più vicina all’identità del soggetto è la rappresentazione della persona investita: le pene d’amore e la sofferenza per la perdita di un rapporto hanno in parte questa spiegazione neurofunzionale.

Infatti, l’attività cerebrale normale della veglia che dipende dal rientro simultaneo delle informazioni trasmesse nelle reti globali e corrisponde a quello che in psicologia e psichiatria si chiama esame di realtà, fornisce conferma o smentisce l’esistenza della persona investita nel ruolo affettivo che la rende presente nella dimensione identitaria della psiche del soggetto. Se all’esame di realtà la coscienza registra e conferma la perdita della persona amata, si istaura il conseguente stato funzionale di sofferenza.

 

4. Le figure tipiche dell’esperienza dell’innamoramento dall’antichità al Novecento oggi vanno scomparendo. Nella società contemporanea i ragazzi sono avviati di fatto a rapporti sessuali precoci, slegati dalla procreazione e dunque dall’assunzione di un ruolo genitoriale, per effetto della scristianizzazione culturale e della diffusione dei mezzi anticoncezionali. Un cambiamento antropologico che non ha uguali nella storia, perché non è affatto vero che solo col cristianesimo si sia affermata l’astinenza sessuale: nel corso dei cinquecento anni dell’ellenizzazione dell’Europa si era consolidato il costume della castità dei coniugi, ossia anche dopo il matrimonio i rapporti sessuali erano esclusivamente limitati all’intenzione procreativa[9]. La precoce ricerca del piacere sessuale come “lecito svago” su base edonistico-individualistica ha in gran parte interferito con lo sviluppo dell’innamoramento, incidendo sulla frequenza, sui modi e, soprattutto, sulle forme tipiche, che conosciamo dalle narrazioni letterarie. L’attività sessuale non sopprime del tutto l’innamoramento, che può verificarsi anche dopo aver avviato una frequentazione erotica come oggi accade di frequente, ma ne limita e ne condiziona molti aspetti.

Questo argomento richiederebbe una lunga analisi e l’esposizione di molti fatti da noi approfonditi in sede seminariale, ma qui ci limitiamo a ricordare che, da un punto di vista delle configurazioni (pattern) neurofunzionali e neuroendocrini, lo stato di propensione all’accoppiamento è opposto a quello che subisce la fascinazione di una personalità, e che la facilità e la frequenza di incontri copulativi crea memorie di uso strumentale del partner a fine di piacere, che contrastano con la rappresentazione ideale, spirituale o comunque sublimata dell’identità della persona investita tipica del processo mentale dell’innamoramento.

Non è un caso che questo cambiamento antropologico, per molti versi globalizzato, o almeno diffusamente presente in tutto il mondo, è coinciso con la rarefazione fino alla scomparsa di figure tipiche dell’innamoramento, che hanno resistito dal tempo dei poeti classici dell’antica Grecia al discorso amoroso di Roland Barthes. Consultando, infatti, questo libro come un piccolo dizionario degli innamorati – secondo il suggerimento del suo autore – troviamo lemmi, seguiti da tropi illustrativi colti e immaginifici, che sembrano del tutto scomparsi, non solo dal vocabolario dei giovani, ma soprattutto dalla gamma degli stati d’animo provati al giorno d’oggi. Facciamo due esempi: ascesi e languore.

Ecco la definizione di Barthes di ascesiSia che si senta colpevole nei confronti dell’essere amato, sia che voglia impressionarlo mostrandogli la sua infelicità, il soggetto amoroso abbozza una condotta ascetica di autopunizione (regime di vita, abiti, ecc.)[10].

Da una parte – spiega l’autore – si tratta di un’automortificazione, come quella di un religioso che rinuncia al mondo e segue un regime austero per rendersi degno, dall’altra funge da ricatto morale: per colpa tua ho fatto questo.

Noi abbiamo avuto esperienza, in passato, di innamorati che hanno assunto questi atteggiamenti, ma oggi, a meno di rare eccezioni che possono sfuggire anche alle indagini sociologiche condotte via internet, sembra proprio che questa figura sia scomparsa[11].

Il secondo esempio è in questa formulazione di languoreIntangibile condizione del desiderio amoroso, provato nella sua carenza, al di fuori di ogni voler-cogliere[12].

Il languore è una sorta di attesa indefinita di un desiderio inappagabile, uno stato affettivo che può aver luogo anche mentre si è con la persona amata, e sembra agli altri che si sia appagati, mentre, al contrario, accade qualcosa di difficile da spiegare, come se si uscisse da sé stessi. Barthes lo illustra col distico di Platone ad Agatone nel Simposio: “Quando abbracciavo Agatone, l’anima mia saliva alle mie labbra, quasi che, poveretta, dovesse andarsene via”. Per farsi intendere, l’autore spiega che la figura del languore è l’esatto contrario del desiderio erotico, di quella brama fisica che richiede l’immediata soddisfazione, esemplificata dalla passione del satiro: “Il Satiro dice: voglio che il mio desiderio sia immediatamente appagato. Se vedo un viso che dorme, una bocca socchiusa, una mano lasciata pencolare, io voglio potermici buttare sopra. Questo Satiro – figura dell’immediato – è l’esatto contrario del Languido-Spasimante. Nel languore io non faccio che aspettare: «Non finivo di desiderarti»”[13].

Lo dice Barthes stesso: l’esatto contrario della brama fisica, e dunque difficile da prodursi oggi dopo generazioni in cui, invece di dare ai giovani un’educazione sentimentale, li si è indotti a prendere a modello la confusa improvvisazione dell’assenza di modelli, il modus vivendi di chi ha distrutto senza sapere come ricostruire, finendo per sostituire alla progettualità dei sentimenti la volubilità del desiderio sessuale e al valore oblativo del bene comune il vantaggio materiale individuale. Ma alcuni termini del lessico barthesiano sono ancora di attualità, come lo è la follia dell’innamorato:

Pazzo – Il soggetto amoroso è colto dall’idea di essere o diventare pazzo[14].

L’innamorato, perfettamente consapevole di vivere uno stato di alterazione psichica che non può eliminare con la volontà, talvolta decide di interpretarlo, come se il proprio comportamento derivasse da una scelta deliberata di recitare una parte in commedia. Non potendo negare a sé stesso o nascondere agli altri questa forma eccitata di sé, ne prende le distanze proponendo tutto ciò che è difforme dal proprio stile consueto come un gioco di finzione, di rappresentazione, perfino di caricatura di sé stesso, cercando l’intesa con coloro che sono edotti o avveduti del suo innamoramento.

Se la cultura dell’amor cortese, da sempre motrice dell’arte poetica, ha subito per oltre mezzo secolo nell’epoca contemporanea il dileggio e il discredito da parte del pensiero ideologico materialista, che l’ha considerata come un epifenomeno della “repressione sessuale”, continua a sopravvivere e manifestarsi in forme comunicative e sociali non sempre riconoscibili, una tendenza minoritaria a coniugare un’estetica del sentimento a una purezza di intenzioni. Si è ipotizzato, per questo modo di intendere, l’influenza dell’attivazione di circuiti del lobo temporale mediale implicati anche nelle esperienze mistiche[15].

Da decenni si vivono gli effetti nella cultura popolare e mediatica dell’onda lunga prodotta   dall’apodittica ideologia sessantottina del rapporto uomo-donna, mai realmente posta in discussione e affermata con piglio totalitario come nuova morale, alla quale era consentito sottrarsi solo nella qualità di seguaci di fedi religiose “alla moda”, per certi versi da alcuni considerate alleate[16] nella battaglia contro la “morale borghese”. Qualche maître a pensée ha guidato in passato schiere di fautori della libertà sessuale quale principio cardine della nuova etica[17], che si proponeva di sovvertire la sensibilità corrente. Al punto che, dopo aver “legalizzato” e sdoganato ogni manifestazione pubblica di sessualità ed erotismo come espressione libera del costume dei tempi, i nuovi “padroni delle coscienze” avevano dichiarato osceno l’esatto opposto, ovvero tutto ciò che atteneva a manifestazioni in stile romantico di sentimenti volti ad esaltare la bellezza estetica e le virtù morali della persona amata.

E questo lamenta Roland Barthes:

Osceno – Screditata dall’opinione moderna, la sentimentalità dell’amore deve essere recepita dal soggetto amoroso come una grave trasgressione, che lo lascia solo ed esposto; attraverso un rovesciamento di valori, ciò che oggi rende osceno l’amore è quindi proprio questa sua sentimentalità[18].

Dunque, possiamo affermare che l’innamorato di oggi non diventa più ascetico, non si abbandona al languore, ma continua a percepirsi “pazzo” e sa che oggi non è più censurata la sessualità come oscena ma il “sentimentalismo”[19]. La differenza tra la sensibilità culturale prevalente in passato e quella di oggi può aiutarci a distinguere tra propensioni proprie dello stato mentale e modi culturali della loro interpretazione, così da consentirci negli studi futuri di fare la tara delle forme comportamentali legate al tempo e risalire all’essenziale comune al livello cerebrale.

Anche se oggi – e da vari decenni – non si vedono più volti arrossire dal pudore e nel timore che un segreto innamoramento possa essere scoperto, rimane frequente e comune tra gli innamorati la prudenza nel dichiararsi per non correre il rischio di un rifiuto. Magari, tale prudenza non assume le caratteristiche dell’inibizione narrata dai romanzieri del passato, ma esiste ancora ed esprime un ingente investimento identitario già avvenuto nella propria mente, che crea una condizione di equilibrio precario.

 

5. Perché gli innamorati hanno torto. Perché gli innamorati hanno ragione. Hanno torto quando temono l’irreparabile, ogni volta che fanno dei problemi della relazione amorosa una questione di vita o di morte e nel ritenere di non poter più vivere senza essere amati da chi amano. Nulla di tutto ciò corrisponde alla realtà biologica. Saremo più espliciti: i sistemi neuronici che segnalano al cervello – soprattutto attraverso il dolore fisico ma anche attraverso altri affetti-segnale – uno stato patologico dell’organismo o rischioso per la vita hanno un ottimo rendimento nel processo caratteristico bottom-up; invece, quando ansia, allarme e sofferenza psichica sono generati top-down dal cervello, che utilizza in parte gli stessi sistemi effettori, non solo l’entità della sofferenza e il suo grado di percezione soggettiva non sono proporzionate al rischio biologico per l’organismo, ma se c’è una possibilità di danno, questa è da ricercarsi negli effetti della reazione, ossia nell’eccessiva attivazione dei sistemi dello stress, che in alcuni casi giunge al livello delle crisi da astinenza di oppiacei nei tossicodipendenti.

Hanno ragione gli innamorati quando affermano che il sentimento mette loro le ali, cambia la vita e li fa vivere come in un sogno, perché queste sensazioni derivano effettivamente da una specifica base neurofunzionale che, nelle fasi di high spirit ed elevato tono dell’umore, si caratterizza per l’entrata in funzione di connessioni neuroniche silenti e l’attivazione di pattern come quelli tradizionalmente individuati per il rilascio di endorfine, feniletilamine[20] e altre molecole regolatrici associate ad affetti espansivi e allegria euforica.

 

6. Una provvisoria conclusione in attesa di nuovi studi. Nel primo paragrafo abbiamo menzionato le principali difficoltà di approccio metodologico, a queste deve aggiungersi un problema intrinseco dell’oggetto di studio: l’innamoramento si offre alla nostra esperienza come una condizione psichica espressa attraverso una gamma di sentimenti e stati d’animo, tanto vari e diversi fra loro che, secondo i criteri correnti di neurofisiologia applicata all’indagine per neuroimmagine, ciascuno corrisponderebbe ad un diverso stato mentale, in tal modo costringendoci a rimandare a dopo la scoperta di un elemento funzionale cerebrale comune la possibilità di studiarli come parte di uno stesso quadro.

Senza contare che la nostra ordinaria distinzione di tali diversi aspetti funzionali si basa su dati soggettivi di coscienza, resi intersoggettivi attraverso la comunicazione, e solo in minima parte attraverso evidenze comportamentali fenomenicamente descrivibili come oggettività semeiotica. Possiamo per questo dire, senza entrare in questioni tecniche specialistiche, che l’innamoramento si compone di stati di coscienza diversi ai quali attribuiamo un’origine comune senza averne la prova biologica.

Quello stato positivo legato all’innamoramento, spiegato sulla base di un’iperattivazione del sistema a ricompensa cerebrale, descritto da alcuni come sentirsi “dolcemente esaltato”, e che induce molti, anche non più adolescenti, a ricercarlo, si configura spesso come un’attesa positiva per qualcosa che può cambiare la vita. Una “trepida attesa” – si diceva una volta – una vigilia festosa, come il tempo che immediatamente precede un evento certo e certamente positivo: una premiazione? Macché, molto di più! Incuriosisce la base biologica, perché se un tale stato di equilibrio affettivo-emotivo precario si è conservato attraverso i millenni, deve sicuramente costituire un vantaggio in termini evoluzionistici. E poi, se questo stato evocato dalla possibilità di unione con una persona del sesso opposto e indipendente dal richiamo sessuale ha un buon supporto evolutivo, deve necessariamente presentare un equivalente ontogenetico o dei “parenti prossimi” in altri stati mentali già presenti nell’infanzia.

Nella psicologia dell’età evolutiva si fa riferimento, secondo vari approcci teorici e differenti concezioni del mentale, all’attesa magica del bambino in alcune fasi e circostanze della vita, intendendo con questa espressione non solo l’attendersi del compiersi di un evento senza conoscerne il meccanismo di realtà e stimarne l’effettiva probabilità, ma anche l’aspettarsi qualcosa di straordinario, eccezionale e non definito. In questi casi, secondo il nostro presidente, è “come se il bambino, senza averne coscienza, si aspettasse più che di ricevere un dono, ossia avere qualcosa, il venire a essere in uno stato diverso da quello abituale. Dunque, questa vigilia magica, questa attesa positiva di cambiamento dell’innamorato, sembra attingere ai processi cerebrali dell’attesa infantile, che ancora risente dell’incompiuta separazione del proprio Io da quello della madre”[21].

Quale può essere il senso biologico dell’innamoramento? La destabilizzazione temporanea dei circuiti dedicati al senso di identità può avere il fine evolutivo di predisporli in uno stato più adatto alla modificazione plastica necessaria all’accoppiamento mentale che nella nostra specie, nonostante la recente regressione a una sessualità prevalente e incontrollata, conserva notevole importanza per la formazione di legami di coppia[22]. Dunque, l’innamoramento potrebbe costituire una sorta di “riapertura del periodo sensibile al cambiamento della configurazione sinaptica stabilita alla base del senso di identità e dell’Io stesso”[23].

L’ipotesi da noi sostenuta circa lo sviluppo dello stato di innamoramento nella nostra specie segue un semplice ragionamento evoluzionistico: “L’attrazione tra i sessi nel resto del regno animale, e particolarmente fra i mammiferi, dipende dalla perfetta regolazione neuroendocrina dei periodi estrali controllati dall’ipotalamo; l’eccezionale sviluppo della nostra corteccia cerebrale – evento senza paragoni nella filogenesi – ha permesso il crearsi di una dimensione mentale in grado di generare cultura ed esserne influenzata, potenzialmente svincolando l’uomo dai legami neuroendocrini del basso cervello ipotalamico. L’innamoramento costituisce quindi una forma di attrazione a genesi psichica, in gran parte indipendente dagli automatismi dell’istinto riproduttivo e in grado di investire lo spazio mentale, scongiurando il rischio di perdita di interesse per l’altro sesso. È uno stato psichico, un processo top-down, che contribuisce alla sopravvivenza della specie”[24].

Concludendo, ancora con le parole del nostro presidente, si può osservare che l’innamoramento, quella dimensione psichica che ha in sé il fascino della fascinazione, costituisce un tratto peculiare se non distintivo della nostra natura umana, un modo del pensiero e un registro affettivo che lega estetica ed etica, interpretando un sogno come nella sublimazione poetica dei versi danteschi dell’esergo.

 

Gli estensori del testo ringraziano il Presidente della Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia per la collaborazione e invitano alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia & Giovanna Rezzoni

BM&L-02 luglio 2022

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Questa dichiarazione di intenti, che abbiamo mutuato dal nostro presidente, qui è menzionata solo per giustificare il nostro approccio, in quanto in questo scritto ci limiteremo ad esporre solo le questioni principali in via preliminare, rimandando l’analisi effettiva secondo paradigmi psicologici diversi a un lavoro di ricerca che intendiamo svolgere con i nostri colleghi nel prossimo futuro.

[2] Proprio in questi giorni si pubblica la dimostrazione da parte di Zouaoui e colleghi dell’Università di Montreal che le onde teta della corteccia frontale sono un marker specifico della fase di regolazione delle emozioni (v. in Note e Notizie 02-07-22 Notule: “La regolazione emozionale ha nelle onde teta un marker specifico”).

[3] Adoperiamo questo termine, preso a prestito dal lessico psicodinamico classico, in mancanza di uno migliore per descrivere quest’ordine di fenomeni.

[4] Nella visione di Giuseppe Perrella, l’attività del sistema a ricompensa cerebrale è parte di un quadro funzionale e ne ricalca le caratteristiche. Nell’innamoramento il sistema a ricompensa è “sequestrato” da questo investimento monopolizzante e, dunque, indurlo a funzionare “normalmente”, ossia secondo la logica di altri quadri, può aiutare a conservare una risposta più fisiologica e meno alterata alle esperienze della vita quotidiana, garantendo l’efficacia delle comuni fonti di adattamento psicologico.

[5] Sigmund Freud, Lettere 1873-1939, 26 in Opere, Boringhieri, Torino 1976, cit. in Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, p. 128, Einaudi, Torino 1979.

[6] È proprio questo conferimento d’emblée alla persona investita di una qualità eccezionale, difficile da spiegare se non si considera il valore per l’identità del soggetto, a costituire la spinta per l’interpretazione creativa poetica del vissuto affettivo da parte dell’innamorato. L’innamoramento rimane, come già avevano compreso i Greci, una delle radici antropologiche della poesia.

[7] Giuseppe Perrella, Riflessioni e ipotesi sull’innamoramento, p. 25, (aggiornamento di uno studio precedente) BM&L-Italia, Firenze 2022.

[8] La certezza consente, in pratica, l’efficacia del controllo inibitorio dei circuiti dell’ansia e dello stress.

[9] Cfr. Note e Notizie 23-04-22 Vantaggi psicologici delle coppie antiche.

[10] Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, op. cit., p. 32.

[11] Negli anni Sessanta i tentati suicidi di donne innamorate non corrisposte erano così frequenti che in Francia e in Italia furono disposti servizi di pronto soccorso specifici. Negli anni Ottanta nel nostro paese i suicidi e i tentativi erano di molto cresciuti, ma la delusione amorosa era già divenuta una causa percentualmente molto bassa.

[12] Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, op. cit., p. 125.

[13] Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, op. cit., p. 125.

[14] Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, op. cit., p. 125.

[15] Si veda nella sezione “IN CORSO”: La ricerca dello spirito nel cervello.

[16] Secondo la vecchia tesi dei rivoluzionari francesi, che erano borghesi impegnati contro i nobili protetti dagli apparati della religione di stato, ma in quest’epoca usata contro i “borghesi”, ritenuti il nuovo ceto legato al potere della Chiesa.

[17] Rientrava in quel gioco politico di “fare – come ebbe a dire Franco Rella – del ghetto un Partenone e del Partenone un ghetto”.

[18] Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, op. cit., p. 148.

[19] Per inciso, si può notare che negli ultimi due decenni sembra che la “censura” sul sentimentale non sessuale si sia un po’ allentata. Tra i segni di questo “recupero nel dicibile” vi è stata la presentazione martedì 21 giugno 2022, presso la sala stampa della Camera dei Deputati, del volume Parla piano se parli d’amore della giornalista inviata della RAI Simona Arrigoni.

[20] Si è ipotizzato in passato, per il crollo dei livelli di feniletilamine, che le pene d’amore consistessero in una sorta di crisi di astinenza da queste molecole, e si è anche osservato che gli innamorati infelici tendono a mangiare molto cioccolato, che contiene feniletilamine. Oggi si ha una visione più articolata e complessa del profilo molecolare degli stati psichici di euforia da innamoramento e sofferenza depressiva da perdita dell’amore, tuttavia la brusca riduzione di endocannabinoidi, endorfine, encefaline, feniletilamine, accanto a quella di serotonina, rimane un dato significativo.

[21] Giuseppe Perrella, Riflessioni e ipotesi sull’innamoramento, op. cit., p. 36.

[22] Giuseppe Perrella, op. cit., idem.

[23] Giuseppe Perrella, op. cit., p. 37.

[24] Giuseppe Perrella, op. cit., pp. 37-38.